Vai al contenuto

Pragmatica della comunicazione umana - Watzlawick


cunningham

Messaggi raccomandati

cunningham

Chi legge Pragmatica della Comunicazione Umana si lascia stupire e conquistare, riga dopo riga, capitolo dopo capitolo. Paul Watzlawick scrive con una chiarezza espositiva e concettuale che lo distanzia di lunghi passi dalla maggioranza dei testi dedicati all'analisi del comportamento umano.

Nella Pragmatica della Comunicazione Umana sono enunciati i cosiddetti assiomi della comunicazione che, dalla pubblicazione del testo (1967), hanno modificato in modo radicale ed irreversibile il percorso della psicologia contemporanea. Capire la psiche dell'uomo significa, in quelle pagine, analizzare e saper comprendere le relazioni interpersonali che generano i comportamenti. L'analogia della scatola nera è alla radice di questa svolta "pragmatica". Il cervello è chiuso nelle ossa del cranio, come la scatola nera nelle lamiere di un aereo. Non è possibile "vedere" quello che è contenuto nel cervello, perchè i pensieri sono impulsi elettrici che hanno un'origine chimica. Le idee sono scariche di energia che nascono e si dissolvono nel buio dei misteri cerebrali e non è possibile catturarli in una rete, per poi analizzarli con tutta calma.

Questo presupposto guida Watzlawick in direzione di un approccio alla comunicazione umana che egli stesso definisce "pragmatico", ovvero pratico, comportamentale e relazionale. Quello che noi sappiamo di una persona è il suo comportamento: possiamo vederlo, perché è disponibile immediatamente sotto i nostri occhi. L'insieme degli stimoli, dei bisogni, delle esperienze che contribuiscono alla costruzione di ciò che si vede, non è subito disponibile. Anzi, secondo Watzlawick, il discorso eziologico - sulle "cause" - riveste un ruolo che è perfino secondario (almeno in ordine di tempo), se messo a confronto con quello che possiamo vedere. In linea con il comportamentismo, la pragmatica della comunicazione indica, come via maestra alla comprensione della psiche, l'osservazione dell'uomo mentre comunica. L'uomo non è e non sarà mai una monade, un pianeta isolato dagli altri, anche quando è solo e silenzioso in mezzo al nulla. E' impossibile non comunicare, perchè ogni comportamento è comunicazione, invia un messaggio agli altri, che lo si voglia oppure no.

Nella comunicazione si apre la relazione, ovvero la relazione con l'altro è già implicita nella stessa esistenza umana. Ogni persona è "una", "nessuna" e "centomila", come insegna Pirandello. L'identità personale, quello che noi pensiamo di noi stessi e quello che pensiamo che gli altri pensino di noi, si mette assieme, pezzo dopo pezzo, in tutti gli scambi di parole e azioni che abbiamo con gli altri esseri umani. George Herbert Mead, filosofo e psicologo d'inizio secolo, in Mind, Self, and Society (1934) mise in parole chiare il processo di formazione del Sé e lo fece con argomenti che riconducono all'esperienza del gioco. Anche Watzlawick fa ricorso a questa analogia, per dipingere la relazione comunicativa proprio come un gioco, dove la posta è la definizione di Sé.

Si legge nella Pragmatica della Comunicazione Umana (pag. 43) che "ogni comunicazione implica un impegno e perciò definisce la relazione. E' un altro modo per dire che una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento." Ogni comunicazione ha un aspetto informativo, di contenuto, e un aspetto di "comando", di relazione. Ed è questo secondo aspetto che imprime una forma al contenuto, che ne definisce il significato come metacomunicazione. Watzlawick aggiunge che "sembra che quanto più una relazione è spontanea e 'sana', tanto più l'aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Viceversa, le relazioni 'malate' sono caratterizzate da una lotta costante per definire la natura della relazione, mentre l'aspetto di contenuto della comunicazione diventa sempre meno importante." E' probabile che chi legge abbia fatto un'esperienza di questo genere, ovvero di scambi di opinioni, di discussioni o di litigi che avevano come oggetto argomenti di nessuna importanza. In casi simili, quello che è in gioco non è la scelta di un mobile rosso o di una lampada blu, ma la definizione di "chi gioca quale ruolo" all'interno della relazione interpersonale.

Le ricerche e le osservazioni di Watzlawick hanno condotto alla distinzione di due possibili modi di mettersi in relazione con l'altro. Il primo, che l'autore chiama relazione simmetrica, è caratterizzato da un piano di partenza paritario, dove le persone coinvolte si misurano con l'assunto di essere uguali. La simmetria, se corre troppo oltre i suoi presupposti, può degenerare in patologia, ovvero in una dinamica di competizione per dimostrare che "io sono migliore di te".

Il secondo tipo di relazione è segnata dalla complementarietà. In questo modello, chi partecipa alla relazione si comporta in modo tale da situarsi in una posizione di superiorità oppure di inferiorità nei confronti dell'altro. Per comprendere appieno cosa significa la complementarietà, è importante aver chiaro che è possibile imporre all'altro la propria "superiorità" solo se questi è disposto ad accettarla, e viceversa. Il legame complementare, quando diventa patologico, allarga la forbice della differenza fino agli estremi e, chi domina, lo fa in forma sempre più assoluta.

La relazione è un sistema dove i comportamenti sono circolari: non è possibile stabilire quale è la causa e quale l’effetto, cosa viene prima e cosa viene dopo. Ogni comportamento è, insieme, azione e risposta ad un'altro comportamento. La circolarità mette fuori campo il dualismo causa-effetto che, come uno stampo, ha dato forma per secoli a tutti i discorsi della scienza. Il sistema delle persone-che-comunicano-con-altre-persone è sempre un universo a sé stante, governato da regole e processi propri. Quando le regole che tengono in vita il sistema fanno "corto circuito", la comunicazione si ammala e può essere guarita solo da chi, con un intervento esterno, può modificare le regole del gioco.

di Linda Scotti

http://www.comunicob.../relazione.html

La recensione. Pragmatica della comunicazione umana - di P. Watzlawick, J. Helmick B. e D. Jackson

Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi Editore Astrolabio 1997

Saper comunicare è un’arte. Conoscerne tutte le dinamiche è il sogno di ogni comunicatore. Una quarantina di anni fa un gruppo di studiosi di Palo Alto ha intuito che si potesse arrivare ad una pragmatica della comunicazione umana. Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin e Don D. Jackson l’hanno messo al centro delle loro ricerche. E dal 1967 “Pragmatica della comunicazione umana” (Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, ed. Editore Astrolabio, ripubblicato nel 1997) è un manuale di studio imprescindibile per chi si occupa di comunicazione.

La ricerca psicoanalitica ha trascurato l’interdipendenza tra l’individuo e il suo ambiente, ed è proprio a questo punto che diventa indispensabile, secondo Watzlawick, il concetto di scambio di informazione, cioè di comunicazione. Chiaro il celebre esempio della differenza tra il modello psicodinamico e il concetto di interazione individuo-uomo postulato dagli studiosi di Paolo Alto: se un uomo colpisce un sasso con un calcio, l’energia si sposterà dal piede al sasso che avanzerà sulla base di quanta energia viene trasmessa. Se l’uomo invece dà un calcio ad un cane, questo può saltare o morderlo e il rapporto tra il calcio e il morso è dunque di un ordine molto diverso. Quindi il cane prende l’energia per la sua reazione dal suo metabolismo e non dal calcio. Non si trasmette dunque energia, ma informazione.

Per capire la pragmatica della comunicazione – e questa è una delle lezioni più innovative del gruppo di Palo Alto - occorre dunque osservare l’uomo mentre comunica. Che trova la sua migliore applicazione nello studio dei comportamenti patologici. Per anni le patologie comportamentali sono state analizzate sul singolo soggetto. Ma solo quando si è cominciato ad osservare il soggetto nel suo ambiente si è arrivati a capire e spesso a curare la patologia.

Watzlawick introduce anche il concetto di metacomunicazione. Quasi mai, dice, riusciamo a comunicare sulla comunicazione. La capacità di metacomunicare in modo adeguato, aggiunge Watzlawick, non solo è la condicio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche strettamente legata al grosso problema della consapevolezza di sé e degli altri. Questo tema è uno dei più importanti del libro. Lo studioso austriaco è alla ricerca di un modello, di ridondanze pragmatiche. Tuttavia, sottolinea, i soggetti possono benissimo dire qualcosa e voler dire qualcos’altro. L’esempio è quello del calcolatore: per programmarlo bisogna immettervi un certo numero di regole specifiche, tali regole lo guidano in un gran numero di operazioni eseguite sulla base di un modello. La situazione della ridondanza della interazione umana, parte al contrario. Ovvero, dall’osservazione del particolare sistema in attività si cerca di risalire alle regole che sono alla base del suo funzionamento.

Si arriva così agli assiomi della comunicazione. Che per Watzlawick sono 5.

Il primo è l’impossibilità di non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro

Il secondo assioma: ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione. Una comunicazione non solo trasmette informazione, ma impone un comportamento. Nel messaggio c’è quindi sia un’informazione – contenuto - sia un comando, in riferimento alla relazione tra i comunicanti.

Terzo assioma: la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. Per Watzlawick non è importante se la punteggiatura (ovvero la sequenza di scambi ed eventi) sia buona o cattiva, ma rilevare come spesso il proprio comportamento sia causato da quello dell’altro e mai come causa della reazione dell’altro. Ogni parlante in pratica accusa l’altro di essere la causa del suo comportamento.

Quarto assioma: Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico sia con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha una semantica, ma non ha nessuna sintassi adeguata per definire in modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni.

L’esempio spiega meglio di tante parole: non c’è nulla di specificatamente simile a cinque nella parola cinque. Questa è la comunicazione numerica, ovvero si usa una parola per nominare una cosa. La comunicazione analogica, invece, è quella non verbale: corpo, gesti, espressioni, inflessione della voce, ritmo delle parole. Watzlawick fa l’esempio della lingua straniera che “non arriveremo mai a capire ascoltandola alla radio, mentre è possibile dedurre informazioni fondamentali dall’osservazione del linguaggio dei segni e dei ‘movimenti di intenzione’ anche quando li osserviamo in una persona la cui cultura è completamente diversa dalla nostra”.

L’ultimo assioma è: Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.

Un’altra lezione, questa, fondamentale e che ha cambiato il modo di studiare le patologie della comunicazione. E utilissima anche per misurare il proprio rapporto con le persone che ci circondano (familiari, amicizie, colleghi di lavoro).

Per Watzlawick, appunto, sono due i possibili modi di mettersi in relazione con l´altro: relazione simmetrica, piano di partenza paritario, dove le persone coinvolte si misurano con l´assunto di essere uguali; e relazione complementare, porsi in una posizione di superiorità oppure di inferiorità nei confronti dell´altro. E’ possibile imporre all´altro la propria "superiorità", viene spiegato, solo se questi è disposto ad accettarla, e viceversa.

Ognuno dei cinque assiomi può degenerare in patologia. E questo avviene quasi sempre quando uno degli elementi viene portato all’eccesso (ad esempio la ‘simmetria’ o la ‘complementarietà’ oppure il chiudersi nel silenzio ecc).

La comunicazione, inoltre, può essere paradossale. E anche su questo Watzalwick chiarisce in modo esemplare: “il paradosso è una contraddizione che deriva da una deduzione corretta da premesse coerenti”. Tre i tipi principali di paradossi: logico-matematici (antinomie); semantici (famoso l’esempio dell’affermazione “Io sto mentendo”, che è vera soltanto se non è vera e quindi l’uomo mente soltanto se dice la verità e viceversa dice la verità se mente; e pragmatici (ingiunzioni paradossali e predizioni paradossali). E anche qui l’esempio portato dallo studioso di Paolo Alto è preciso: il messaggio "Sii spontaneo!", chiunque lo riceva, genera una posizione insostenibile, perché per farlo dovrebbe essere spontaneo secondo uno schema e non quindi veramente spontaneo.

Nell’ultimo capitolo Watzlawick affronta il tema dell’esistenzialismo. Prima di tutto fa una distinzione sui tre ordini di percezione umana. Il primo livello è la conoscenza delle cose in sé (sensoriale), è la percezione ‘della’ cosa, ma non si sa nulla ‘sulla’ cosa. La conoscenza successiva, quella dell’oggetto, è di secondo ordine. Conoscenza della conoscenza, quindi metaconoscenza. Dalla somma delle conoscenze, l’essere umano trae una visione unitaria del mondo e questo è il terzo livello. Siamo ai limiti della conoscenza e della comunicazione umana. Di fronte alla domanda: chi siamo e cosa sia la vita, si renderebbe necessario un quarto ordine di percezione, e qui “è raro che la consapevolezza sia presente, ammesso che si tratti di consapevolezza”. Per gli studiosi di Paolo Alto “la soluzione non sta nel trovare una risposta all’enigma sull’esistenza, ma nel prendere atto che non c’è alcun enigma”. E la conclusione, ripresa dal Tractatus di Ludwig Wittgenstein, è anche una lezione di vita: “Il problema della vita si risolve quando svanisce (…). Di ciò che non si può parlare si deve tacere”.

Qual è la morale che ne ricaviamo?

Che la comunicazione ha due presupposti:

1) la capacità di padroneggiare compiutamente l’argomento (il cosa) che vuole/deve essere comunicato;

2) la capacità di “mettersi al posto dell’altro”, “nella testa dell’altro”, cioè del target/obiettivo/interlocutore; partire dal suo punto di vista sull’argomento (che può essere anche diametralmente opposto a quello dell’emittente).

Senza questi due presupposti non c’è interlocuzione e, dunque, senza interlocuzione non può esserci comunicazione. Può esserci lancio di informazioni, emissione di messaggi, pubblicità (rendere pubblico un messaggio) ma, nella migliore delle ipotesi, non si sa chi e come lo raccoglierà e, dunque, se e come risponderà.

http://www.greenrepo...io/show/id/4583

Modificato da cunningham
Link al commento
Condividi su altri siti

dr.feelgood

Sembra interessante, gli do una letta nel fine settimana.

Hai altri testi sulla comunicazione o sulla psicologia da consigliare?

Link al commento
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un membro per lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
×
×
  • Crea Nuovo...