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Suicidio


Edo

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4 ore fa, DreamSpirit ha scritto:

Per me non è un problema sociale, ovviamente se uno che non conosco si ammazza sotto un treno, facendolo arrivare in ritardo di 150 minuti, che era l'ultimo treno e sono bloccato a Milano (successo), la prima cosa che penso è "ma vedi te sto stronzo", della vita della gente che per me non è importante non me ne frega niente

 

Ecco, è questo quello che dico. Molte volte nel forum non emerge tutta questa empatia per donne che scassano il cazzo e che giustamente vanno allontanate per la propria salute mentale, o per gente che serve solo per essere penetrata, diversi gradi di utilità e nessuno si scandalizza

Ugualmente se fossimo in una piccola isola in cui tutti si conoscono almeno di vista ovvio che il suicidio di uno sconvolgerebbe tutti e darebbe da pensare ma in una realtà in cui sistematicamente c'è almeno un suicidio al giorno sotto il treno (ho un mezzo parente che l'ha fatto, persona squisita quindi non parlo solo degli altri) ovvio che il singolo suicidio acquisisce un'importanza assai relativa e secondo me anche la richiesta d'aiuto connessa

Sarò cinica o quello che volete ma l'anno scorso abbiamo dovuto seppellire ben tre persone e vi assicuro che per quanto care fossero alla fine di tutta la manfrina tutto c'era fuorché il "oh poverino quanto ha sofferto" ma piuttosto c'era il "grazie al cazzo siamo capaci tutti di andarcene lasciando i debiti agli altri"

Ecco in questi casi i perché e i per come della morte passano in secondo piano, se va bene, giusto o sbagliato non so ma alla fine sono sempre quelli che rimangono a dover sobbarcarsi i casini, questi sono i fatti

4 ore fa, DreamSpirit ha scritto:

Però sicuramente se in una nazione c'è un tasso di suicidi alto, significa che c'è una qualità della vita bassa

Dici? Mi sembra che in Norvegia la vita sia abbastanza agiata eppure hanno una percentuale di suicidi enorme rispetto alla popolazione

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Big Brother
1 ora fa, EdoardoG ha scritto:

Dici? Mi sembra che in Norvegia la vita sia abbastanza agiata eppure hanno una percentuale di suicidi enorme rispetto alla popolazione

Si, lo stesso trend avviene in Giappone... sebbene sia, mi pare,la terza economia al mondo, la società iper competitiva e il peso del fallimento incidono sul fenomeno.

 

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Giraluna
55 minuti fa, EdoardoG ha scritto:

Molte volte nel forum non emerge tutta questa empatia per donne che scassano il cazzo e che giustamente vanno allontanate per la propria salute mentale, o per gente che serve solo per essere penetrata, diversi gradi di utilità e nessuno si scandalizza

Il forum è solo uno specchietto. Magari nella realtà sono empatici e fanno passare qui un diverso messaggio. Si hanno diversi gradi di empatia ed in base a questi ovviamente si hanno diverse reazioni allo stesso fatto. A volte si vuole fare il duro e duro non si è. A volte si fa il tenero bamboccione e magari poi si è quello più deciso quando si tratta di sfanculare. Lasciare i debiti ai parenti è una rogna, certo. Tuttavia è sufficiente per definire il suicida una persona debole? 

Siamo sempre li col discorso: non è una regola assoluta che chi lascia debiti sia un debole. È la tendenza maggioritaria di un paesino o di gente chiusa per qual si voglia motivo personale che porta a credere ciò. 

A me una volta mi venne fatta questa domanda: che cosa faresti se fossi una brutta persona?

Più nello specifico: che atti dovresti compiere per essere la parte più cattiva di te? 

Ho fatto un elenco dove ci misi pure l omicidio.

Altra domanda: ne hai compiuto qualcuno di questi?

No. 

Sei dunque una persona cattiva?

No. 

Chi te l ha messo in testa questo pensiero?

Io che ho creduto a loro. 

Se per te suicidarsi è da deboli o accumulare debiti e lasciargli ai parenti  dopo il suicidio è da deboli, giustamente si rispetta questo tuo sentire. Che venga assunto come regola generale il fatto che chi lo fa è un debole dovrebbe essere rivalutato poiché si tratta sempre di capire i nostri limiti. 

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Dexter78

in alternativa alle teorie sociologiche personalmente ritnego che le cause psicologiche di una azione come quella suicidaria fanno riferimento alla perdita del valore della vita.

La vita per umanizzarsi ha bisogno di riconoscimento da parte dell'altro, del corpo sociale, delle persone che amiamo e stimiamo.

Non è necessario appagare solo i bisogni primari, istintuali è necassario umanizzare la vita attraverso dandole dignità simbolica.

la morte ha un senso biologico, metafisico per alcuni, ma vivere è un atto simbolico oltrechè fisico. come si umanizza la vita? con l'amore, col riconoscimento, con le cure.

esempio, non riferito al suicidio,le ricerche di Renee Spitz sui neonati ospedalizzati nel dopoguerra in Ungheria. Ricoverati in orfanatrofi a centinaia gli venivano fornite in modo militaresco le cure primarie. lavati puliti e nutriti.  molti svilupparono sintomi psichici e somatici anche gravi, in alcuni casi arrivando alla morte. perchè? perchè mancavano amaore, coccole, sguardi amorevoli, gesti , presenza, accudimento.

questo è ciò che manca spesso nella vita adulta. il suicidio è spesso l'esito di una psicopatologia conclamata, ma l'esito di una mancanza di risposta dell'altro alla domanda d'amore.

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iPaq
1 ora fa, EdoardoG ha scritto:

siamo capaci tutti di andarcene lasciando i debiti agli altri

Guarda che siamo in epoca moderna, non più nell'antica Roma dove i debiti del defunto passavano ai figli e, in caso d'insolvenza, si passava alla condizione di schiavitù.

Nel principio attuale dell'erede universale si accettano sia gli attivi (proprietà, soldi, ecc.) che i passivi (debiti) del defunto; se la cosa non sta bene (ad esempio perché si teme di debiti non noti) è possibile fare la rinuncia all'eredità e rimanere così estranei.

Non vedo cosa si possa addebitare ad un defunto in questi casi. Che non ce l'ha fatta più? Non basta la sua tragedia personale? Non c'è più rispetto nemmeno per i morti?

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Outsider

La discussione mi piace molto, la trovo intelligente e piena di interventi che fanno riflettere: peccato per tutte le risposte in cui ci si focalizza solo sul discorso del treno come scusa per strillare che il thread fa schifo, segno che, per molti, ha toccato un nervo scoperto.

Evidentemente parlare di suicidio rimane in larga parte un tabù (figuriamoci descriverlo come libera scelta).

 

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23 minuti fa, Outsider ha scritto:

La discussione mi piace molto, la trovo intelligente e piena di interventi che fanno riflettere: peccato per tutte le risposte in cui ci si focalizza solo sul discorso del treno come scusa per strillare che il thread fa schifo, segno che, per molti, ha toccato un nervo scoperto.

Evidentemente parlare di suicidio rimane in larga parte un tabù (figuriamoci descriverlo come libera scelta).

 

Grazie, davvero

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Percival
4 ore fa, Mindlover ha scritto:

Il grande Albert Camus scriveva così nell'incipit de "Il mito di Sisifo" :<<Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia>>.

La questione del suicidio è una questione universale, acrona e totalmente "umana". Non dipende da religioni, chiesa o Pil di una nazione. Il suo segreto si nasconde nella natura dell'uomo, e qui risuonano le parole di Camus :" Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta.". Perché un essere umano che per sua stessa natura tende all' autoconservazione, decide in ultima istanza di farla finita? E' tristezza? E' depressione? E' follia?

Sono d'accordo quando si dice che uno potrebbe tranquillamente togliersi la vita senza dare impiccio al prossimo, ma se riflettiamo bene il suicidio in molti casi è un'ultima ed estrema richiesta d'aiuto. La lucidità in quei casi, spesso, lascia il tempo che trova. E se pensiamo ancora meglio, forse per quelle persone buttarsi sotto un treno in corsa non assume la stessa valenza che ha per noi, e cioè quella di disturbatore della quiete comune, ma quella di un forte grido di aiuto, che non si consuma nell'ombra della propria cameretta o appeso a una trave del proprio garage e che si cerca di far udire a degli esseri umani come noi. Noi sempre presi dalla nostra velocità... Si cerca di dirci :" Ehi fratello... In questo mondo sono passato anche io.."

In definitiva il suicidio, qualsiasi sia la tua nazione, il tuo status sociale o la tua religione rimarrà sempre, perché almeno per me, il suicidio e la visione della morte, e' la più grande libertà che questa vita ci ha concesso. 

Mind

Credo che ci siano, fondamentalmente, due tipologie principali di persone che si suicidano.

 

- Quelle che decidono con un atto di Volontà assoluta di terminare la propria esistenza perché non fa per loro/perché non hanno voglia di giocare allo sbattersi per far funzionare cose che probabilmente andranno male e soddisfare bisogni che si ripresenteranno, con tutti o quasi che ti remano contro (prima o poi).
Potremmo chiamarle "quelle che mandano a fanculo tutto e tutti".

- Quelle che hanno un maledetto bisogno di essere VISTE, notate, da qualcuno in particolare, da sue ipostasi, o in generale dalla società.
Potremmo chiamarle "quelle che vorrebbero essere notate, percepite, accettate", e che rinunciano alla propria vita pur di avere un attimo di esistenza, un riconoscimento del proprio ESSERCI.

 

Nel mio piccolo, da ragazzino, ho avuto modo di vivere entrambi questi desideri, e non posso che capire queste persone.

Potremmo chiamare la condizione che caratterizza entrambe queste categorie "eccessiva consapevolezza".

Di sé, della propria insignificanza, o delle dinamiche del mondo, e non accettazione delle stesse.

 

Così come abbiamo un istinto naturale che ci chiede di vivere, conservarci, riprodurci, abbiamo anche la facoltà di non accettare le nostre condizioni di vita, non accettare il percorso necessario per cambiarle - in direzione del soddisfacimento dei propri bisogni - e decidere di premere il pulsante OFF.

Personalmente non ci vedo né debolezza né forza, quanto una SCELTA.

 

Vivo, mi sbatto e soddisfo i miei bisogni, godendo delle risposte fisiologiche intrinseche associate a consumazione e desiderio...

Oppure metto fine al perverso giochetto, con un bel dito medio diretto a Mother Nature?

 

Scelte, si tratta solo di scelte.

Ci hanno fatto pensare che chi sceglie di vivere sia "migliore", "più forte".

Ovvio. Siamo nella società del consumo, devi vivere per poter consumare, votare, propagandare con la tua esistenza i valori del macrosistema 🙂

Ma alla fine della fiera, cazzo ci frega di essere quello ritenuto "il più forte"?

 

Questo post non vuol essere un'apologia del suicidio, quanto piuttosto un riconoscimento di esistenza e valore a coloro che dicono NO, per le loro dannate ragioni.

Che sono tanti importanti e vivi quanto coloro che dicono SI'.

E quando dico "coloro che dicono sì", non parlo di coloro che annuiscono silenziosamente senza sapere neanche PERCHE' stiano dicendo sì, obbedendo inconsciamente alle leggi naturali o del sistema, vivendo perché gli è stato insegnato che bisogna farlo "altrimenti si è deboli" (scoperta dell'acqua calda).

Parlo di coloro che hanno trovato una motivazione PIU' grande della voglia di ribellarsi e dire no.

Che hanno trovato una causa più grande, un qualcosa per cui valga la pena giocare a questo perverso casinò e correre sulla ruota come topolini in gabbia.

Questa è l'unica possibile soluzione, oltre al pulsante OFF, per chi ha troppa consapevolezza di sé, della propria insignificanza, delle dinamiche sociobiologiche.

 

Forse, anche queste persone che dicono sì... Esattamente come chi dice NO, vogliono essere ricordate.

Vogliono sentire di esistere, essere esistite, aver lasciato il segno.

Abbiamo tutti un romantico bisogno di importanza...

 

In fondo, siamo tutti deboli, ma non tutti ne hanno la consapevolezza.

Stima per chi si sacrifica scegliendo (escludiamo i malati psichici). Che la scelta sia SI', o NO.

Rispetto per chi sceglie di sacrificare la propria vita per poter smettere di soffrire o per sentire di esistere, e rispetto anche per chi si sacrifica VIVENDO in nome della propria, personalissima, causa.

 

Gli altri sono soltanto... Zombie che scelgono, inconsapevolmente, il male di vivere, accusando gli dei delle proprie sventure.

Modificato da Percival
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Giraluna
37 minuti fa, Outsider ha scritto:

per strillare che il thread fa schifo

Uhm ... Io l ho vista diversamente ad esempio. Tipo che neanche tanto velatamente fosse lei a non essere umana a scrivere robe di quel genere. 

Fossero questi i veri problemi, cioè che una utentessa esprima la sua vera natura. 

Il nervo scoperto circa l argomento ... Tendenze a cui credere o meno.

Sta a noi cedere all impulso di credere che l altro sia o meno più debole.  

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56 minuti fa, iPaq ha scritto:

Guarda che siamo in epoca moderna, non più nell'antica Roma dove i debiti del defunto passavano ai figli e, in caso d'insolvenza, si passava alla condizione di schiavitù.

Nel principio attuale dell'erede universale si accettano sia gli attivi (proprietà, soldi, ecc.) che i passivi (debiti) del defunto; se la cosa non sta bene (ad esempio perché si teme di debiti non noti) è possibile fare la rinuncia all'eredità e rimanere così estranei.

Non vedo cosa si possa addebitare ad un defunto in questi casi. Che non ce l'ha fatta più? Non basta la sua tragedia personale? Non c'è più rispetto nemmeno per i morti?

È troppo facile parlare di accettazione o rinuncia all'eredità, lo so bene anch'io come si fa e quali sono i mezzi che la legge mette a disposizione

Però non tutto si può risolvere con la rinuncia all'eredità, i figli del suicida restano orfani e da sfamare perché il loro genitore ha scelto di non occuparsene più (così come tanti vivi che si disinteressano dei figli, né più né meno e però giustamente non vengono scusati anzi)

Il suicida che ce l'ha fatta (sennò sarebbe aspirante tale) non c'è più e non capisco perché dovremmo occuparcene se non per ciò che la sua dipartita ha comportato nei vivi

Ad ogni modo tranquillo che non vado a profanare le tombe, non mi si addice, troppa puzza e non mi è funzionale, oltre a essere un reato

Hai citato il rispetto per i morti: cos'è e cosa serve concretamente ai vivi?

La questione, secondo me, può essere vista in due modi: dalla parte del suicida e le sue modalità e dalla parte di tutti noi.

Il suicida è tale perché vuole mettere fine alla sua vita, ok scelta legittima e insindacabile. Ma se per un migliaio di ragioni non ci riesce se gli va bene buon per lui (sempre che non abbia intralciato le attività pubbliche) e se gli va male e resta deficiente e mezzo vegetale, per il sistema che abbiamo diventa un costo non indifferente per la società senza contare che sarà inabile al lavoro

Permetti che uno così non mi faccia pena!? 

Se vogliamo possiamo discutere sul principio massimo che governa la società ed è quello capitalista (ha i suoi difetti ma personalmente non lo cambierei dipendesse da me) che comporta una serie di conseguenze come il fatto che c'è chi non ce la fa e si ammazza ma secondo me, dato questo sistema, non è così astruso parlare direttamente costi che una tale scelta (il suicidio) comporta, soprattutto quello di persone inserite nella società o che usano modalità che coinvolgono tutti per porre fine alla loro unica vita

L'ultimo del mio quartiere si è dato fuoco e ha coinvolto la strada principale nell'ora di punta per dire: solo perché per miracolo non ci sono stati morti oltre a lui non mi sembra di considerarlo un poverino, indipendentemente dalle rogne che l'hanno portato ad ammazzarsi, né più né meno di quelle che tanti altri devono sopportare senza farne uno spettacolo pirotecnico

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