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Scrivere la propria Storia


Wanda

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Visto che ci sono, utilizzo questo thread per segnarmi un po' di cose inerenti all'argomento. Riflessioni mie e di persone con le quali mi confronto, cose che leggo in giro, video che vedo...

La tematica con cui mi sto scontrando da un po’ di tempo a questa parte riguarda il lavoro e la realizzazione in ambito professionale. Senza scendere troppo nei dettagli, lavoro in un ambito molto distante da quello che ho studiato. Non lo trovo un lavoro esaltante, ma non mi dispiace. Sicuramente non mi vedo a lavorare lì per tutta la vita, anzi spero di essere altrove già tra un paio d’anni o meno. Però… qual è l’altrove dove mi immagino essere? E’ questa la domanda a cui non so rispondere.
Mi sento divisa tra quello che penso che dovrei fare o raggiungere, e le cose che mi rendono felice nel concreto.

Di recente ho letto una cosa riguardo il work-life balance che mi ha illuminato (fonte: EfficaceMente) e che metto in spoiler. 

Spoiler

"qualche giorno fa mi è capitato di ascoltare una riflessione sul famigerato "work-life balance", l'equilibrio tra vita e lavoro [...].

"Il work-life balance è una stronzata.
Non ci dovrebbe essere nessun equilibrio.
La vita è molto più importante del lavoro.
Se lavori tanto quanto vivi allora sei fottuto.
Fanculo all'equilibrio tra vita e lavoro.
Abbraccia lo squilibrio tra vita e lavoro.
Lavora meno e vivi di più."

La prima reazione che ho avuto ascoltando queste parole è stata:
"Sì sì, tutto molto bello, ma la stragrande maggioranza delle persone deve lavorare per vivere.
Questi slogan funzionano bene sui social, ma la realtà è ben diversa: per campare devi farti un mazzo tanto per 50 settimane all'anno e se ti va bene te ne puoi godere 2 di ferie ad agosto."
Poi, però, mi è venuta in mente la storia di Fabrizio, un mio conterraneo marchigiano, che nel 1986, a 36 anni, ha deciso di andare a vivere in un casolare diroccato tra le colline boscose di Cupramontana.
Fabrizio, da quasi 40 anni, vive lì, senza luce e senza gas, nutrendosi dei prodotti che coltiva nel suo orto.
No, non è "necessario" lavorare per vivere.
Come esseri umani, per gran parte dei nostri 200.000 anni di evoluzione, abbiamo vissuto senza uffici, traffico, carriera, promozioni, capi, stipendi, tredicesime, bonus, ferie e compagnia bella.
E ancora oggi c'è chi riesce a campare rifiutando il modello standard di vita della nostra società.
"Quindi mi stai suggerendo di mollare tutto e andare a vivere nei boschi?"
No, tutt'altro, anzi, trovo la narrazione neopauperista che tanto piace a certi attivisti da social tanto ingenua, quanto pericolosa: chi si professa (a parole) contro il progresso e la crescita, non sopravvivrebbe una settimana nel mondo immaginato dai fautori della descrescita infelice.
Credo però fermamente nella responsabilità radicale.
Non abbiamo bisogno di mollare tutto e andare a vivere nei boschi; quello di cui abbiamo davvero bisogno è smettere di prenderci per il culo:
In troppi viviamo in questo circolo vizioso in cui siamo frustrati dal nostro attuale lavoro, magari per via dello stipendio (basso), degli orari (massacranti), dei colleghi (stronzi), ma di fatto non facciamo nulla per cambiare, convinti che non ci siano alternative.
Le alternative ci sono sempre; diamine, se lo odiamo così tanto il nostro lavoro, possiamo fare come Fabrizio.

Ma ogni scelta ha un prezzo.

Smettere di prenderci in giro significa chiederci cos'è che vogliamo davvero nella nostra vita (status? ricchezza? tempo libero? lavoro tranquillo?) e poi scegliere in maniera deliberata qual è il prezzo che siamo disposti a pagare per raggiungere quell'obiettivo.
Non esistono risposte giuste o risposte sbagliate. Ognuno deve trovare la risposta giusta per sé.
L'unico errore che possiamo commettere è quello di non scegliere.
Avremo sempre delle rinunce nella nostra vita.
Quando quelle rinunce le subiamo passivamente, diventiamo preda di stress e frustrazione.
Quando, invece, quelle rinunce le scegliamo consapevolmente, ritroviamo serenità e motivazione.
Scegliere è il nostro potere più grande, non rinunciarci."

Il mio lavoro ha i classici orari di ufficio, 40 ore a settimana per il momento rispettate quasi sempre, eppure a me sembra già troppo e sento di aver poco tempo per vivere la vita. E mi trovo a pensare: che senso ha lavorare tante (o tantissime ore), guadagnare uno stipendio molto alto se il prezzo da pagare è il proprio tempo? Per me è un prezzo troppo alto che non sono disposta a pagare. E non si tratta di pigrizia, di mancanza di senso del dovere. La facoltà in cui mi sono laureata, con il massimo dei voti, è probabilmente la più difficile che ci sia, e per riuscirci mi sono davvero fatta il culo. Non è la disciplina che mi manca, ma la motivazione. E sei nei piatti della bilancia ci sono soldi da una parte, e tempo (=vita) dall’altra, il secondo piatto pesa per me molto più del primo. Anche perché penso che anche il lavoro più appassionante del mondo mi darebbe alla nausea, proprio come è successo con ciò che studiavo e che è sempre stata la mia più grande passione: il fatto che fosse un obbligo ha fatto sì che perdessi l’interesse ed ora quel che mi rimane è il mal di stomaco quando ripenso a quegli argomenti. 
Alla fine della storia mi piacciono tante cose diverse, riesco più o meno in tutto e dover dedicare il 90% del mio tempo ad una cosa sola, fosse anche la mia passione più grande, mi porta lentamente a morire dentro. 
Perciò da una parte c’è quella vocina che mi elenca gli obiettivi a livello di carriera che dovrei raggiungere, ciò che io mi aspetto da me; dall’altra ci sono le cose che mi rendono davvero, incredibilmente, stupidamente felice. E non coincidono. Non coincidono né per me, né per nessuna delle persone che ho conosciuto. Eppure scelgono (quasi) tutti la prima strada.
 

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2 ore fa, Wanda ha scritto:

che senso ha lavorare tante (o tantissime ore), guadagnare uno stipendio molto alto se il prezzo da pagare è il proprio tempo?

A 26 anni ho lavorato per una multinazionale dove pagavano molto bene. Metto in spoiler sennò sto post diventa un chilometro di roba:

Spoiler

 Sono durato 4 mesi e poi ho dato le dimissioni, perché vedevo tutti lavorare molto oltre le 8 ore, leccare il culo ai responsabili reparto per ottenere (forse?) briciole e tante altre belle cose.

E uno direbbe "ma sticazzi?"

Il problema era che la stessa cosa si aspettavano da me, perché se su 100 dipendenti 99 fanno X, l'unico che non lo fa viene visto come anomalo, scansafatiche, immaturo, quello che ti pare, e quindi bisogna convertirlo. Quello che alle 17.30 spaccate cascasse il mondo timbra il cartellino. 

Ricordo ancora oggi con estremo, sadico, piacere, il mio ex capo, che al tempo aveva circa 30 anni, essere visibilmente ingrassato in pochi mesi, avere la tremarella alle mani quando parlava, il suo mettersi a 90 appena arrivava un "superiore", lavorare oltre 12 ore al giorno e pure nel weekend, da casa.

E il mio collega, pure (eravamo in 3 in ufficio sviluppo software perché due si erano giustamente licenziati): aveva il turno 11-20 ed arrivava alle 9 "perché così mi prendo avanti", anche lui iper stressato, mai a casa, la morosa che lo trattava di merda (non so perché me lo raccontava) e lui lì, che faceva il ganzo.

Il direttore tecnico (si parla di uno che portava a casa minimo 5k al mese ma non lo so per certo) chiamarmi in ufficio dopo probabili report da parte del mio capo nei quali ero stato marchiato come quello che se ne sbatte tentare di persuadermi a dare il sangue, e io lì che gli rispondevo con strafottenza e sufficienza (il che può essere visto come poco professionale, me ne rendo conto, ma era più forte di me e dentro di me godevo tantissimo).

L'amministratore delegato che il giorno dopo le mie dimissioni mi chiama nella sua Reggia (un ufficio più grande di casa mia) a chiedermi come mai, perché oh, ma come ti permetti di andartene da un posto che tutti sognano? Eravamo così contenti di averti parte della nostra squadra, qui siamo tutti una grande famiglia ❤️

Insomma: quelli che lavorano/lavoravano lì avevano lo stipendio alto. E pure io, in realtà. Solo che, quando cazzo li spendi i soldi se svendi la tua vita così? Quando te li godi?

3 settimane all'anno se ti va bene, hai le foto fighe da mettere su instagram, great. Magari hai la macchina figa, la casa figa, ok. E come stai? Riesci ad avere tempo per te stesso/a, per le relazioni sociali, a soddisfare i tuoi vari bisogni?

Nel frattempo ingrassi, sei stressato/a, la gente potenzialmente ti caga in testa, perché magari lì dentro hai potere, poi esci e sei una mezza sega a cui la moglie sbraita appena entri dalla porta di casa.

Ho un bel ricordo di quel posto, è come quando dalle relazioni impari cosa non vuoi nella tua vita.

No, per me non vale assolutamente la pena. Già siamo "condannati" a lavorare per qualcuno per poter vivere (l'alternativa è fare qualcosa di proprio, trovare il modo di mantenersi e guadagnarci, lo sappiamo tutti), figuriamoci se devo anche mettermi a pecora quando arriva il ministro di stocazzo in visita (true story, mi avevano spostato di postazione per far vedere che l'azienda era piena di gente volenterosa che lavorava, perché alcuni erano in trasferta, boh, non ricordo) per avere 100 euro in più al mese e il buono amazon da spendere in boiate.

Ma che si ammazzassero tutti quanti.

3 ore fa, Wanda ha scritto:

Poi, però, mi è venuta in mente la storia di Fabrizio, un mio conterraneo marchigiano, che nel 1986, a 36 anni, ha deciso di andare a vivere in un casolare diroccato tra le colline boscose di Cupramontana.

Tutto molto bello e poetico, ci sono vari problemi a questo approccio però: mettiamo caso che uno riesca a levarsi tutte "le comodità" che abbiamo e riesca ad autoprodursi cibo e quant'altro.

Sicuramente ne guadagnerebbe in salute, lo sanno anche i sassi che non siamo fatti per questa vita fatta di social, condomini, traffico, problemi che non sono problemi e via dicendo.

Ma poi, come fa i conti con i vari bisogni? Con chi ci vai? Da solo/a? Con li/la partner? 

O si crea una piccola "tribù" oppure la vedo dura vivere da eremiti. Certo, uno può pure abituarsi ed iniziare a parlare con le pecore (cosa che alcuni di noi fanno quotidianamente, ndr), anche se non credo sia esattamente la stessa cosa.

Va a finire che poi inizi a credere veramente di essere un elfo.

3 ore fa, Wanda ha scritto:

le cose che mi rendono davvero, incredibilmente, stupidamente felice. E non coincidono. Non coincidono né per me, né per nessuna delle persone che ho conosciuto. Eppure scelgono (quasi) tutti la prima strada.

Probabilmente siamo tutti familiari con la metafora della corsa del topo.

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Carnacki

Ho letto la parte spoiler di @RAWolf e per certi versi sembrava stesse descrivendo la mia precendente esperienza lavorativa, soprattutto la parte dell'essere visto come la pecora nera della "famiglia".

Era una azienda che professava questa work-life balance con orari flessibili e io ne ho ampiamente approfittato, spesso facevo le cose in ⅓ del tempo che ci mettevano i miei colleghi e poi o me ne andavo prima o se ero a casa facevo proprio altro. Ero io un genio? Forse rispetto ad alcuni sì, ma altri li vedevo in ufficio rimanere 12 ore di cui almeno 8 spese ad aprire e chiudere le mail, cambiare il font alle presentazioni e farsi i fatti loro. Tutto per farsi vedere, che loro ci tenevano.

Io e altri infatti, gente che una minima le cose le faceva, dopo essere stati più volte accusati di tenerci poco ("se sei bravo e una cosa la fai in 3 ore invece che 8, hai più tempo per lavorare di più" - con lo stesso stipendio di chi si scaccola per due ore di fila ovviamente) ce ne siamo andati. E io non guadagnavo nemmeno tanto, considerando che abito a Milano.

Eppure vedevo gente ricca di famiglia, che prendeva penso il triplo di me, andare in para per delle cazzate assurde, fare micromanagement per paura di essere fregato da qualcuno e lavorare nei giorni festivi (col coraggio anche di scrivermi messaggi a cui mai ho risposto e di farmelo pesare).

Ora guadagno meglio, l'ambiente è più impegnativo ma anche più tranquillo, so che non è quello che aspiro a fare nella vita ma mi dà abbastanza serenità e mezzi per capirlo. Perché a me di base - come a voi - fare il dipendente sta stretto, tuttavia al momento è l'unica soluzione.

Unica (e speciale) anche perché non ho sviluppato abbastanza asset da poter pensare altrimenti e sto uscendo da anni in cui il cervello, a furia di star più dietro ai non- problemi di gente pagata che hai problemi reali - si è atrofizzato di fronte al poter cogliere opportunità e sfide.

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1 minuto fa, Carnacki ha scritto:

se sei bravo e una cosa la fai in 3 ore invece che 8, hai più tempo per lavorare di più

Stessa cosa che faccio io qua. 

Lavoro 2 ore massimo al giorno (infatti sono sempre qui su IS, si capisce che sono tornato in ufficio?) e il resto mi gratto i maroni / faccio altro, per me non fa una piega.

Oppure volete dirmi che abbiamo frainteso il significato di:

2 minuti fa, Carnacki ha scritto:

orari flessibili

Eh cazzo, è ovvio che se finisco prima allora posso uscire prima, altrimenti è l'ennesima cazzata che ci propinano per convincerci a dare di più senza ottenere nulla.

Perché se chiedete a me, come ho già detto, 100 euro in più in busta (tassati) sono esattamente questo: nulla.

4 minuti fa, Carnacki ha scritto:

famiglia

Quando leggo o sento questa parola sia in contesto lavorativo che amicale mi triggero tantissimo.

Famiglia? Certo, quella dove hai sempre il coltello puntato alla schiena e appena ti inclini di qualche grado ti inculano con tutto quello che hanno a portata di mano in quel momento.

Ho anche lavorato in posti dove c'era davvero "la famiglia", dove il padre era il titolare e c'erano moglie - figli - zii - cugini - nipoti (per davvero).

Madonna, a svariati km dalle palle, per carità di dio.

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Carnacki
2 minuti fa, RAWolf ha scritto:

Lavoro 2 ore massimo al giorno (infatti sono sempre qui su IS, si capisce che sono tornato in ufficio?) e il resto mi gratto i maroni / faccio altro, per me non fa una piega.

Io se lavorassi davvero 8 ore continuative (come fingono di fare alcuni, o lo fanno per davvero) mi sentirei idiota. Lavoro se c'è una cosa da risolvere, e spesso ci sono dei colli di bottiglia che dipendono da terzi. 

Poi dipende dal lavoro, anche io che nel lavoro precedente non avevo nulla di nuovo da imparare (e nessuno ci teneva ad insegnarmelo) cazzeggiavo bellamente, tant'è che avevo smesso di andare in ufficio perché mi urtava.

4 minuti fa, RAWolf ha scritto:

Quando leggo o sento questa parola sia in contesto lavorativo che amicale mi triggero tantissimo.

Fa il paio con "devi sentire l'azienda come fosse tua".

E certo, dammi anche solo l'1% delle azioni, poi ne riparliamo. Altro che shares da terzo mondo.

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Adesso, Carnacki ha scritto:

dammi anche solo l'1% delle azioni, poi ne riparliamo. Altro che shares da terzo mondo.

Precisamente.

Il mio capo cambia mercedes ogni due anni

Io stesso stipendio dal 2018 non importa se mi impegno o meno.

Già provato.

Fanculo, allora, faccio il minimo (e cerco di cambiare)

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Carnacki
5 minuti fa, RAWolf ha scritto:

Precisamente.

Il mio capo cambia mercedes ogni due anni

Io stesso stipendio dal 2018 non importa se mi impegno o meno.

Già provato.

Fanculo, allora, faccio il minimo (e cerco di cambiare)

Infatti, io ho provato a sbattermi e sono stato pure criticato in fase di review perché non mandavo abbastanza messaggi (giuro) e if non spammi ogni cazzata then non sei proattivo.

Ora infatti sto lavorando ma senza spingere, sembrando meno skillato ma con meno rotture di coglioni, e intanto imparo e guadagno.

E fra 20 minuti stacco (fanculo).

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Carnacki
10 minuti fa, Carnacki ha scritto:

Infatti, io ho provato a sbattermi e sono stato pure criticato in fase di review perché non mandavo abbastanza messaggi (giuro) e if non spammi ogni cazzata then non sei proattivo.

Ora infatti sto lavorando ma senza spingere, sembrando meno skillato ma con meno rotture di coglioni, e intanto imparo e guadagno.

E fra 20 minuti stacco (fanculo).

Preciso che la review era stata fatta nella mia vecchia azienda, in questa nuova per adesso non mi stanno rompendo il cazzo.

Infatti dopo la review non è che ho lavorato senza spingere, ho proprio smesso di lavorare (se non per aiutare colleghi che non c'entravano nulla) e ho iniziato a fare colloqui fino ad andarmene nel giro di qualche mese.

Perdonami @Wanda ho un po' invaso il thread perché questo del lavoro è un argomento che mi tocca molto, non voglio monopolizzarlo.

Modificato da Carnacki
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gort
Il 23/8/2023 at 12:51, Wanda ha scritto:

Visto che ci sono, utilizzo questo thread per segnarmi un po' di cose inerenti all'argomento. Riflessioni mie e di persone con le quali mi confronto, cose che leggo in giro, video che vedo...

La tematica con cui mi sto scontrando da un po’ di tempo a questa parte riguarda il lavoro e la realizzazione in ambito professionale. Senza scendere troppo nei dettagli, lavoro in un ambito molto distante da quello che ho studiato. Non lo trovo un lavoro esaltante, ma non mi dispiace. Sicuramente non mi vedo a lavorare lì per tutta la vita, anzi spero di essere altrove già tra un paio d’anni o meno. Però… qual è l’altrove dove mi immagino essere? E’ questa la domanda a cui non so rispondere.
Mi sento divisa tra quello che penso che dovrei fare o raggiungere, e le cose che mi rendono felice nel concreto.

Di recente ho letto una cosa riguardo il work-life balance che mi ha illuminato (fonte: EfficaceMente) e che metto in spoiler. 

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"qualche giorno fa mi è capitato di ascoltare una riflessione sul famigerato "work-life balance", l'equilibrio tra vita e lavoro [...].

"Il work-life balance è una stronzata.
Non ci dovrebbe essere nessun equilibrio.
La vita è molto più importante del lavoro.
Se lavori tanto quanto vivi allora sei fottuto.
Fanculo all'equilibrio tra vita e lavoro.
Abbraccia lo squilibrio tra vita e lavoro.
Lavora meno e vivi di più."

La prima reazione che ho avuto ascoltando queste parole è stata:
"Sì sì, tutto molto bello, ma la stragrande maggioranza delle persone deve lavorare per vivere.
Questi slogan funzionano bene sui social, ma la realtà è ben diversa: per campare devi farti un mazzo tanto per 50 settimane all'anno e se ti va bene te ne puoi godere 2 di ferie ad agosto."
Poi, però, mi è venuta in mente la storia di Fabrizio, un mio conterraneo marchigiano, che nel 1986, a 36 anni, ha deciso di andare a vivere in un casolare diroccato tra le colline boscose di Cupramontana.
Fabrizio, da quasi 40 anni, vive lì, senza luce e senza gas, nutrendosi dei prodotti che coltiva nel suo orto.
No, non è "necessario" lavorare per vivere.
Come esseri umani, per gran parte dei nostri 200.000 anni di evoluzione, abbiamo vissuto senza uffici, traffico, carriera, promozioni, capi, stipendi, tredicesime, bonus, ferie e compagnia bella.
E ancora oggi c'è chi riesce a campare rifiutando il modello standard di vita della nostra società.
"Quindi mi stai suggerendo di mollare tutto e andare a vivere nei boschi?"
No, tutt'altro, anzi, trovo la narrazione neopauperista che tanto piace a certi attivisti da social tanto ingenua, quanto pericolosa: chi si professa (a parole) contro il progresso e la crescita, non sopravvivrebbe una settimana nel mondo immaginato dai fautori della descrescita infelice.
Credo però fermamente nella responsabilità radicale.
Non abbiamo bisogno di mollare tutto e andare a vivere nei boschi; quello di cui abbiamo davvero bisogno è smettere di prenderci per il culo:
In troppi viviamo in questo circolo vizioso in cui siamo frustrati dal nostro attuale lavoro, magari per via dello stipendio (basso), degli orari (massacranti), dei colleghi (stronzi), ma di fatto non facciamo nulla per cambiare, convinti che non ci siano alternative.
Le alternative ci sono sempre; diamine, se lo odiamo così tanto il nostro lavoro, possiamo fare come Fabrizio.

Ma ogni scelta ha un prezzo.

Smettere di prenderci in giro significa chiederci cos'è che vogliamo davvero nella nostra vita (status? ricchezza? tempo libero? lavoro tranquillo?) e poi scegliere in maniera deliberata qual è il prezzo che siamo disposti a pagare per raggiungere quell'obiettivo.
Non esistono risposte giuste o risposte sbagliate. Ognuno deve trovare la risposta giusta per sé.
L'unico errore che possiamo commettere è quello di non scegliere.
Avremo sempre delle rinunce nella nostra vita.
Quando quelle rinunce le subiamo passivamente, diventiamo preda di stress e frustrazione.
Quando, invece, quelle rinunce le scegliamo consapevolmente, ritroviamo serenità e motivazione.
Scegliere è il nostro potere più grande, non rinunciarci."

Il mio lavoro ha i classici orari di ufficio, 40 ore a settimana per il momento rispettate quasi sempre, eppure a me sembra già troppo e sento di aver poco tempo per vivere la vita. E mi trovo a pensare: che senso ha lavorare tante (o tantissime ore), guadagnare uno stipendio molto alto se il prezzo da pagare è il proprio tempo? Per me è un prezzo troppo alto che non sono disposta a pagare. E non si tratta di pigrizia, di mancanza di senso del dovere. La facoltà in cui mi sono laureata, con il massimo dei voti, è probabilmente la più difficile che ci sia, e per riuscirci mi sono davvero fatta il culo. Non è la disciplina che mi manca, ma la motivazione. E sei nei piatti della bilancia ci sono soldi da una parte, e tempo (=vita) dall’altra, il secondo piatto pesa per me molto più del primo. Anche perché penso che anche il lavoro più appassionante del mondo mi darebbe alla nausea, proprio come è successo con ciò che studiavo e che è sempre stata la mia più grande passione: il fatto che fosse un obbligo ha fatto sì che perdessi l’interesse ed ora quel che mi rimane è il mal di stomaco quando ripenso a quegli argomenti. 
Alla fine della storia mi piacciono tante cose diverse, riesco più o meno in tutto e dover dedicare il 90% del mio tempo ad una cosa sola, fosse anche la mia passione più grande, mi porta lentamente a morire dentro. 
Perciò da una parte c’è quella vocina che mi elenca gli obiettivi a livello di carriera che dovrei raggiungere, ciò che io mi aspetto da me; dall’altra ci sono le cose che mi rendono davvero, incredibilmente, stupidamente felice. E non coincidono. Non coincidono né per me, né per nessuna delle persone che ho conosciuto. Eppure scelgono (quasi) tutti la prima strada.

Ti offro il punto di vista di uno che ha preferito, potendo scegliere, di non lavorare e ha dato ampio spazio alle divagazioni.

Laurea triennale conseguita fuori corso con la quale avrei potuto lavorare da quasi 10 anni fa.

Altra laurea triennale che fra alti e bassi ho completato a metà.

Economicamente parlando ho sicuramente sprecato i soldi della seconda laurea (tutti gli anni fuori corso). Riguardo i mancati guadagni si può valutare ottimisticamente che è stato il prezzo da pagare per avere tempo libero / vita da studente.

Professionalmente parlando si è trasformato definitivamente in un suicidio già da qualche anno prima della pandemia.

 

Mi sembra di ricordare che hai conseguito la laurea magistrale perfettamente in corso, ma allora perché ragioni come se avessi l'acqua alla gola? Puoi tranquillamente prendere 1-2 anni "sabbatici" per capire cosa vuoi dalla vita, che non sarebbero sprecati visto che in quel periodo di tempo lavoreresti facendo curriculum. Dopodiché valuterai se continuare a studiare o rimanere nel mondo del lavoro. Oppure ci sono cose che ti rendono felice che non coincidono né con la materia che hai studiato né con il lavoro?

Modificato da gort
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@RAWolf @Carnacki vi ringrazio tantissimo per le vostre risposte. Tra l'altro facciamo un lavoro simile e mi sono rispecchiata molto nelle vostre parole anche se più per le storie dei miei colleghi/amici che per quello che ho vissuto io, avendo iniziato da poco.
In particolare questo

Il 23/8/2023 at 16:42, RAWolf ha scritto:

quando cazzo li spendi i soldi se svendi la tua vita così? Quando te li godi?

3 settimane all'anno se ti va bene, hai le foto fighe da mettere su instagram, great. Magari hai la macchina figa, la casa figa, ok. E come stai? Riesci ad avere tempo per te stesso/a, per le relazioni sociali, a soddisfare i tuoi vari bisogni?

Nel frattempo ingrassi, sei stressato/a, la gente potenzialmente ti caga in testa, perché magari lì dentro hai potere, poi esci e sei una mezza sega a cui la moglie sbraita appena entri dalla porta di casa.

Ho un bel ricordo di quel posto, è come quando dalle relazioni impari cosa non vuoi nella tua vita.

quanto lo capisco.

In questi giorni ci sono punti premio da dare ai colleghi, in bacheca ci sono i premi ricevuti/dati da tutti, e leggendo il classico ringraziamento è  "per il grande impegno, l'esserci sempre per risolvere problemi anche se non strettamente connessi al proprio lavoro". Madò, sarà appunto che per il momento non mi è richiesto chissà quale impegno, ma da quando mi hanno assunto il mio mood è "se si lamentano del mio lavoro mi licenzio e trovo di meglio". Non contemplo nemmeno il minimo stress. Che non significa che me ne sto con la mani in mano a guardare instagram, ma che faccio quel che devo fare e poi seguo corsi che mi interessano.

Comunque mi è piaciuto molto leggere il vostro scambio, e mi ha fatto sentire meno sola/sbagliata nel pensarla così.

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